Los tesoros de arte incautados al "Jefe" se exponen en Reggio Calabria

I quadri di Salvador Dalì, Renato Guttuso e Giorgio De Chirico, e ancora quelli di Migneco, Cascella e Ligabue erano stati trovati nei possedimenti di un imprenditore in odore di 'ndrangheta, Gioacchino Campolo. Ora sono stati "restituiti alla collettività"


Il “Re dei videogiochi” aveva alcuni Guttuso, un paio di Ligabue, certi Dalì. E poi i Fontana, i Sironi, un paio di De Chirico. Un patrimonio inestimabile, non solo di dipinti. Oltre ai quadri tra il 2009 e il 2010, nel mirino della guardia di finanza erano finiti anche 260 immobili. Era il padrone di mezzo Corso Garibaldi, il salotto buono della città. Così sotto sigillo per ordine dei magistrati finirono 240 immobili a Reggio, ed il resto a Parigi, in place Vendome, a Roma, dove sull'Aventino aveva una villa da 26 stanze mai abitata. E ancora, appartamenti in via Ludovisi, ai Parioli, a Milano e a Taormina. Il tutto ingiustificato dal reddito ufficiale.





Per quasi tre anni sono rimasti sepolti nel caveau della Banca d'Italia. Ora riaffiorano dai seminterrati blindati e rivedono la luce arricchendo le pareti del nuovo Museo della Magna Grecia. Tecnicamente “restituiti alla collettività”, sia pure per alcuni mesi. Così i quadri di Salvador Dalì, Renato Guttuso e Giorgio De Chirico, e ancora quelli di Migneco, Cascella e Ligabue, sono stati messi in mostra a Reggio Calabria.

Tornano al pubblico dopo essere stati sequestrati nel 2009 e confiscati nel 2013 all'imprenditore in odore di 'ndrangheta Gioacchino Campolo. Un monopolista del settore del slot machine che in un ventennio aveva accumulato un patrimoni stimato in oltre 400 milioni di euro. Uno dei “re dei videopoker” finito in manette nel 2009 con una marea di capi d'imputazione che gli sono costate condanne, sia pure non definitive, per 16 anni di reclusione.



Campolo aveva un debole per l’arte. Da facoltoso e senza problemi di contante sceglieva il meglio, frequentava gallerie d’arte e quando occasionalmente qualche mercante gli proponeva l’affare, raramente riusciva a resistere alla tentazione di aggiungere un pezzo pregiato alla sua collezione privata. Opere, che tranne qualche caso, sono risultate rigorosamente autentiche, e che il boss delle slot, teneva appese alle pareti della sua abitazione in riva allo Stretto, rivestendo d’arte tutte le parti di casa. Una fortuna di cui forse neppure si rendeva conto.



Nel 1999 Campolo dichiarava un volume d’affari della propria ditta individuale - la Are - pari a 134 milioni e 319 mila lire. Nello stesso anno sui conti del Campolo e della Are invece venivano versati contanti per 5 miliardi 559 milioni di vecchie lire. Nel 2001 anche peggio. A fronte di un dichiarato di poco più di 100 milioni, nei conti ci erano finiti 7 miliardi e 200 milioni. E così via. I redditi per il 2005, ad esempio, erano di soli 19 mila euro, mentre sui conti erano transitati un milione e 600 mila euro. Soldi sporchi, frutto di macchinette truccate ed estorsioni. La Procura della Repubblica che sul piano dei legami con la 'ndrangheta non è riuscita a dimostrare la colpevolezza di Campolo (condannato per una sfilza di altri reati) ha invece provato che l'intero patrimonio era frutto di attività illecita ottenenendone la confisca, quadri compresi.

Dal 3 agosto scorso le tele sono esposte alla mostra “Arte torna Arte. Un patrimonio restituito”. Un'esposizione - aperta fino al prossimo dicembre - fruibile grazie all'intuito dell'assessore provinciale Eduardo Lamberti Castronuovo, che fiutò “l'affare” oltre due anni fa e che da allora rincorre il progetto.


E si tratta di un patrimonio artistico di tutto rispetto. Dalla prima sezione costituita da quindici opere che vanno dal XVI al XIX secolo, a quelle del XX secolo dei vari Sassu, Cascella, Annigoni, Migneco, Ligabue, Guidi, Caruso, Brindisi, Purificato, Cassinari e tanti altri. Fino ad arrivare alla sezione contenente quattordici quadri considerati dagli esperti degli autentici capolavori dell’arte italiana del Novecento, a firma di autori importanti come Lucio Fontana, Carlo Carrà e Mario Sironi. Completa la mostra una sezione dedicata alla grafica con un piccolo gruppo di sette opere e l’esposizione del nucleo di lavori “non autentici”, quadri di Guttuso, Schifano e Fiume, "che insieme ai Palizzi – ha detto il curatore della mostra e soprintendente, Fabio De Chirico - rappresentano autori importanti, ma anche oggetto di palesi contraffazioni e deviazioni del mercato". Tra questi spicca il “Volto di donna” di Pablo Picasso di cui esistono, dice ancora De Chirico, altre redazioni esposte in prestigiosi musei internazionali.

La mostra ha dunque due diversi pregi. Secondo l'assessore provinciale alla Cultura e Legalità Lamberti Castronuovo: "Da una parte ha un valore artistico di grande rispetto. Dall'altra ha il valore di patrimonio ottenuto illecitamente che torna alla collettività che potrà goderne al prezzo simbolico di 2 euro. Insomma, a Reggio oggi, cultura e legalità camminano a braccetto". Lamberti Castronuovo ha
anche un altro sogno. In questa occasione ha ottenuto, assieme alla Direzione regionale dei beni culturali, l'affido da parte del Tribunale della collezione per la mostra, il sogno tuttavia è che tutte le opere vengano restituite definitivamente alla città. Per questo si sta guardando intorno per individuare la giusta collocazione. Per l'assessore quella di oggi è già "di una bella vittoria, un segnale forte", anche se si deve continuare a lavorare.
 

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